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TRENTA SFUMATURE DI ROSSO


Parlando in classe della violenza sulle donne ho avvertito in alcuni studenti un certo scetticismo e fastidio, come se parlare di questo fenomeno fosse un po’ un’esagerazione, un fare del vittimismo facile ai danni dei maschi…. insomma la violenza sulle donne potrebbe anche essere, questo ho colto nel mainstream sottinteso, un fenomeno sopravvalutato, o appartenente al passato.

Così, ho fatto una specie di esperimento su me stessa: mi sono data 10 minuti e ho deciso di annotare i nomi di tutte le vittime di violenza, femminicidio, abuso persecuzione che io avessi direttamente incontrato, quindi limitandomi al mio solo ambito familiare e alle mie dirette conoscenze ed esperienze. Eccovi il risultato di sorelle morte e ferite.


---1 -La prima vittima appartiene alla memoria familiare. Parto da fatti lontani nel tempo per dare un’idea di cosa sia la cultura patriarcale contadina, che sopravvive oggi invariata sia in Italia sia nei tre quarti del mondo.

La sorella di mia bisnonna è stata ammazzata a 16 anni dal figlio del padrone in una Umbria arretrata, agricola, dove il mezzadro era poco più che un servo della gleba e dove le contadine non potevano opporsi alle attenzioni dei signorini. Quell’uomo ha staccato la testa della ragazza con il suo “ronchetto” ( una piccola falce dalla lama affilatissima) durante una violenza sessuale. Ho letto gli atti del processo. L’assassino non è andato in carcere dichiarando infermità mentale. Il ronchetto è l’arma prediletta nei delitti della mia famiglia: l’ha usata anche mio prozio per uccidere la moglie pochi anni fa: ormai ottantenne, voleva terminare l’opera dopo una vita di violenza e “ toglierla dal mondo con le sue mani”. Troppo vecchio per il carcere. Vittima DUE.

Della stessa generazione di mia nonna, altre sorelle hanno subito la violenza dei loro compagni per una vita.

Sempre con il ronchetto alla gola, una, a quindici anni, ha dovuto acconsentire alle pretese di un uomo che è stata costretta a sposare. Mi raccontava che approfittava delle serate in cui il marito si ubriacava fino a perdere praticamente i sensi per restituire le botte.

L’altra zia sposò un uomo che picchiava raramente. Un bel vantaggio. Un giorno, io ero molto piccola, vidi che la zia aveva detto qualcosa che aveva irritato il marito che lì vicino a lei stava spostando dei grossi sacchi di grano: lui, senza una parola e senza quasi cambiare espressione del volto, le sferrò un pugno in pieno viso, facendole sanguinare abbondantemente il naso. Lei si limitò a mormorare tra i denti una maledizione e lui le rise in faccia: questa era la normalità.

Un altro zio, seguito e chiamato indietro dalla moglie mentre andava dall’amante, si irritò tanto da voltarsi e riportare a casa la moglie a calci. La poveretta ne prese tanti da non provare mai più a disturbare. Un altro venne fermato dai parenti mentre, raggiunta la mia zia più giovane dopo averla inseguita per tutto il paese, le aveva messo le mani al collo e stava ormai per strangolarla. I parenti invece di denunciarlo fecero “riconciliare” gli sposi.

Vi state divertendo? A che punto siamo? Mi sembra a SEI donne.


Crescendo non sono diventata molto più acuta nel capire i drammi che si sviluppavano intorno a me: una zia che amavo molto ha nascosto per vent’anni lividi di botte e maltrattamenti che quotidianamente subiva. Mi spiegò da adulta che lei doveva subire in silenzio e mascherare la violenza perché a 18 anni, innamorata pazza di questo bellissimo ragazzo, aveva a tutti i costi voluto il matrimonio contro la volontà dei suoi genitori: lei sapeva che non poteva chiedere aiuto, non poteva tornare indietro, perché quel compagno l’aveva scelto lei e se lo doveva tenere.

L’altro zio picchiava regolarmente sua madre, con la quale era tornato a vivere dopo che sua moglie e le sue bambine erano fuggite perché per anni le aveva torturate con percosse, violenze, minacce, abusi psicologici…. tipo legare la madre, trascinare le bambine in macchina, portarle nel bosco, legarle e minacciare con il coltello di sgozzarle se non gli avessero dimostrato di essere figlie sue.

Un’altra mia cugina aveva dodici anni più di me, ma era paraplegica e aveva un ritardo cognitivo, perciò mi sembrava fosse mia coetanea. Quando i genitori seppero che la sua malattia sarebbe rapidamente degenerata decisero che dovevano farle fare un figlio, che loro avrebbero allevato. Combinarono un matrimonio. Mia cugina è morta molto giovane. Ma per alcuni anni è stata violentata e io non me ne sono resa conto. Da un uomo pagato bene dagli stessi genitori appunto per questo: “ingravidarla”. Non ci sono riusciti.

Una mia compagna di Liceo è stata ammazzata a fucilate da suo padre “perché l’amava troppo” qualunque cosa voglia dire. Anche in questo caso, ottenendo l’infermità mentale, questo padre padrone ha fatto pochi mesi di carcere. Siamo a….altre sei… DODICI vittime. Nessun colpevole ha pagato per quello che ha fatto.


Siamo intanto passati da un ambiente arretrato e agricolo ad ambienti borghesi, cittadini, anche colti dove i protagonisti sono professionisti stimati e insospettabili. In questi ultimi anni e nella mia cerchia di amicizie due donne, due amiche, sono state a lungo maltrattate dai loro compagni con violenze verbali, aggressioni e minacce, controllo e persecuzione, oltre a violenze e abusi. Solo dopo molti anni hanno avuto la forza di lasciare i loro compagni, una perchè il marito ha ferito con un grosso cacciavite il padre di lei che cercava di difenderla.... Non li hanno mai denunciati.

E poi c’è una donna che conoscevo superficialmente: un pomeriggio abbiamo parlato per caso in un negozio dove stava comperando un vestito di carnevale per il suo bambino... Diceva che non ne poteva più della gelosia del marito, che erano liti continue: la notte stessa è stata ammazzata di botte di fronte agli occhi di quel bambino e dell’altro fratellino più piccolo. La terza figlia era nel ventre della madre ed è morta con lei. Le indagini rivelarono che in famiglia sia il nonno, sia lo zio, sia l’omicida (vivevano in case adiacenti) picchiavano regolarmente le rispettive mogli da anni. I tre uomini avevano collaborato per occultare il cadavere.

SEDICI vittime.

Andiamo avanti perché arriviamo alla generazione dopo di me, quella di mia figlia, delle mie nipoti, delle mie studentesse.

Voi pensate che oggi non succedano più queste cose; ebbene, succedono continuamente. In ogni parte d’Italia, in ogni ambiente sociale.

Due splendide ragazze che amo, entrambe intelligenti, apparentemente emancipate e forti, hanno sopportato per molto, troppo tempo dei fidanzati prevaricatori e violenti.

In un caso, il ragazzo con cui si era legata a 16 anni sistematicamente la insultava, le diceva che era brutta, grassa, che faceva schifo, che non valeva niente. Ogni tanto le dava un ceffone. La controllava, le impediva sotto minacce e punizioni di parlare con la sua famiglia e le aveva fatto intorno terra bruciata: non aveva più amiche, non aveva più nessuno che la potesse tirare via da lui. Quando alla fine questa relazione tossica si è interrotta, sono rimasti danni psicologici ancora non sanati. Anche l’altra è stata legata a lungo con un ragazzo che la maltrattava, sminuiva tutto quello che faceva, la comandava, la controllava ossessivamente: c’erano decine di messaggi a tutte le ore del giorno e della notte cui lei doveva rispondere nel giro di pochi secondi; le impediva di frequentare altre persone, l’allontanava dalla famiglia, le impediva di specializzarsi negli studi o di cercare lavoro lontano da casa, la trattava da puttana perché aveva colleghi di studi, le diceva che era stupida. La lasciava e riprendeva. La puniva, lasciandola per ore al freddo davanti al portone ad aspettarlo mentre lui passava la serata con degli amici, minacciava di uccidere il suo cane, minacciava di fare del male ai suoi familiari. Se lei si allontanava, per esempio per venire a trovare per una giornata la sua famiglia, si vendicava tradendola e assicurandosi che lo sapesse: poi la faceva chiamare dalle altre ragazze per farle sapere che era colpa sua se lui la tradiva, visto che lei non era lì disponibile a soddisfarlo. Anche le vittime di queste violenze psicologiche hanno impiegato anni per riconoscerle come tali, per prendere coscienza di essere cadute in una trappola, di aver subito violenza: ci sono voluti anni per cercare di sanare o perlomeno attenuare le enormi ferite. DICIOTTO vittime.


Nella mia pratica di insegnante, le mie studentesse mi raccontano di ragazzi che schiaffeggiano facilmente, che hanno la mano pesante; fidanzati che decidono cosa va bene, cosa non va bene quando loro si devono vestire; decidono con chi possono parlare e con chi no, prendono abitualmente e controllano i cellulari delle fidanzate, impediscono gli studi all’università fuori dalla città. Pretendono una piena disponibilità a qualsiasi ora del giorno, della notte: disponibilità di tempo, disponibilità sessuale. Non accettano un no. Non permettono che li si lasci. Se le ragazze si ribellano, sono bravissimi a fare la parte del pentito: regalano fiori e borse firmate, coccole, cene romantiche, attenzioni per poi ricominciare con il gioco del controllo. E qui perdo il conto: una studentessa a 18 anni è stata costretta a lasciare la scuola e tornare nel paese d’origine dove la famiglia aveva combinato un matrimonio, un’altra ancora ha lasciato gli studi in quarto liceo perché doveva occuparsi della casa. Una aveva paura di venire a scuola perché c’era un vicino che l’aspettava davanti al portone del palazzo, la seguiva per tutta la strada, se lo ritrovava addosso quando usciva con le amiche, quando comprava il latte al supermercato. L’ho spinta a parlare con la madre che l’ha sgridata: stai esagerando, non metterci in imbarazzo con il condominio. Sono stata io ad accompagnare la studentessa dai carabinieri e loro hanno preso la cosa sul serio, hanno ammonito il quarantenne,(che aveva tra l’altro disturbi psichiatrici) hanno pattugliato la strada. E quello ha smesso.

Una è stata violentata. Dal suo ragazzo. Eeeh non vaaaleee…. come si fa a dimostrarlo? Perchè se hai permesso che cominciasse non puoi dire basta. Lo fai finire e stai zitta... Ho conosciuto ALTRE DIECI vittime almeno, negli ultimi anni.

Vi risparmio altri dettagli personali, ma le ultime due vittime del patriarcato violento siamo io e mia sorella.

La prima persona che mi ha chiamato puttana è stata mia madre. Avevo quattordici anni e il motivo fu che un ammiratore segreto di cui non sospettavo l’esistenza pensò bene di lasciare davanti al portone di casa, il giorno di San Valentino, un orsacchiotto di peluche con dei cioccolatini. Reclusione e percosse erano metodi educativi molto in voga, esercitati dal padre, su denuncia materna. Lui infieriva specialmente su mia sorella maggiore, che due volte ha rischiato la vita. Anche in presenza di una emorragia interna in seguito al pestaggio non le hanno permesso di andare al pronto soccorso. Ancora non riesco a perdonarmi di non averla aiutata. Avevo nove anni.

Come donna, ho sempre dovuto difendermi da stalker, molestatori, gente che non ha mai considerato un NO come un ostacolo, che ha allungato le mani, mi ha schiacciata al muro, baciato per forza, mi ha perseguitato, spiato, ricattato, che ha registrato la mia voce per poi rimandarmela in sottofondo a telefonate oscene, manipolato le mie foto, costretto a cambiare ambiente, a non frequentare alcune comitive di amici. Ma forse ne avete abbastanza. Anch’io. Ma non venite a dirmi che la violenza sulle donne è una cosa superata o che la stiamo facendo più grave di quella che è. E alle mie studentesse, figlie, sorelle donne dico:

sappiatelo, è una lotta durissima: abbiamo ancora tanta strada da fare e dobbiamo anche fare guerra contro chi amiamo, contro chi in nome dell’amore ci ha calpestato.


Annalisa Persichetti, la Sirilla


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