Il “Dialogo di un folletto e di uno gnomo” è un breve racconto in prosa delle Operette Morali di Giacomo Leopardi. Il letterato presenta con un pizzico di ironia e fantasia la concezione antropocentrica dell’uomo attraverso un dibattito tra un folletto e uno gnomo. Entrambi la pensano diversamente su molti aspetti riguardanti soprattutto le loro due specie, eccetto che sull’uomo, oggetto di scherno. L’intenzione di Leopardi è infatti quella di riuscire a far aprire gli occhi al lettore e rendergli nota l’eccessiva importanza che l’uomo dà a se stesso. Inoltre, con il suo materialismo si contrappone alla corrente filosofica dell’idealismo, a lui contemporanea. Quest’ultima concezione della realtà fa prevalere la psyché al soma atomistico del mondo, dando più importanza alla dimensione inconscia, interiore di esso. Leopardi invece ha una precisa concezione della natura, e il seguente estratto ne presenta un aspetto chiave:
Folletto: “Sciocco, non pensi che, morti gli uomini, non si stampano più gazzette?”
Gnomo: “Tu dici il vero. Or come faremo a sapere le nuove del mondo?”
Folletto: “Che nuove? che il sole si è levato o coricato, che fa caldo o freddo, che qua o là
è piovuto o nevicato o ha tirato vento?”
Il genere umano considera l’universo come una proprietà privata, la natura come una realtà da poter modificare a proprio desiderio o bisogno. Questo però è un pensiero condiviso da ogni singola specie vivente, e motivo di battibecco tra le due creature fantastiche protagoniste del dialogo. La cosa più sconcertante però è che la Natura va avanti per il suo corso su un binario parallelo a quello degli esseri viventi. Leopardi dà voce alle sue idee attraverso il folletto. Viene espresso quindi con amarezza il distacco, il disinteresse, che la natura prova nei confronti anche degli umani. La loro presunzione li porta a illudersi di essere padroni dell’universo, di conoscerlo e riuscire a piegarlo a loro piacimento, ma il folletto smentisce questa tesi chiaramente:
Folletto: “Ma ora che ei sono tutti spariti, la terra non sente che le manchi nulla, e i fiumi
non sono stanchi di correre, e il mare, ancorché non abbia più da servire alla navigazione e
al traffico, non si vede che si rasciughi.”
La razza umana si è estinta, la natura continua ad essere. Nessun ordine cosmico viene perturbato dalla scomparsa dell’uomo, perché appunto la natura può anche prestarsi alla contemplazione da parte di esso ma mai sottomettersi al suo dominio.
Questa tesi viene usata a favore di tutte le lotte per il riscaldamento globale: il pianeta Terra è esistito e continuerà ad esistere con o senza la presenza umana, questa invece è una lotta per la sopravvivenza. La stessa presunzione accusata da Leopardi nel Dialogo ha spinto l’uomo a esagerare nello sfruttamento di ciò che la natura gli ha offerto, e ora bisogna pagarne le conseguenze.
Nel periodo di quarantena della scorsa primavera, molti telegiornali hanno mostrato alla gente come la natura stesse approfittando della nostra assenza temporanea per riprendersi ciò che era suo prima dei nostri interventi. Molti pesci hanno ripopolato i canali di Venezia (come ha scritto Paolo Rumiz in un suo articolo), ed oltre alle specie marine sono stati avvistati numerosi esemplari di coyote, capre, tacchini, cinghiali, orsi, lupi e leoni in giro per strade o centri abitati desolati.
Soprattutto in questo periodo quindi si può attingere a questa e altre opere di Leopardi per ottenere una nuova visione del mondo che ci circonda ed imparare dagli errori compiuti finora per riuscire a convivere con la natura, senza sentire il bisogno di doverla sfruttare a proprio piacimento.
S.V.
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