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COVID-19 : L’EFFETTO APPARENTE SULL’AMBIENTE


Sembra brutto dirlo, ma l’epidemia di Coronavirus sta avendo un aspetto positivo collaterale. Già dal mese di febbraio abbiamo cominciato a sentir parlare dell’effetto delle restrizioni riguardanti gli spostamenti e le attività produttive per limitare i contagi sull’inquinamento atmosferico. In un primo momento lo abbiamo visto con le fabbriche cinesi, che hanno rallentato o addirittura interrotto la loro produzione, poi con i voli cancellati in tutto il mondo. Come ci ricordano gli studiosi del Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea), un anno fa proprio in questo periodo la Cina rilasciava circa 400 milioni di tonnellate di anidride carbonica; sorprendentemente la quarantena ha fatto ridurre queste emissioni di circa 100 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Purtroppo i ricercatori del Crea hanno già detto che il calo delle emissioni sarà probabilmente temporaneo, viste le azioni messe in campo da Pechino per ricominciare l’attività industriale.

Il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP), che si occupa delle politiche

per contrastare il cambiamento climatico, ha pubblicato un nuovo rapporto sulle emissioni di gas inquinanti prodotti dalle attività umane. Secondo tale documento, nonostante una breve riduzione nelle emissioni di anidride carbonica, la temperatura media globale continua a seguire una traiettoria che la porterà ad aumentare di 3°C entro la fine del secolo. Questo potrebbe essere dannoso per la maggior parte degli ecosistemi e anche per la nostra qualità di vita. L’aumento di 3°C sarebbe sensibilmente superiore rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015, con il quale la maggior parte degli Stati del mondo si è impegnata a trovare delle soluzioni per mantenere l’incremento della temperatura media globale tra 1,5 e 2 °C. Secondo l’UNEP, la pandemia potrebbe però costituire una buona opportunità per rivedere alcune politiche ambientali, rafforzando soprattutto gli investimenti per la riduzione delle emissioni. In questi mesi, i Paesi più grandi produttori di CO2 hanno ideato programmi industriali molto ambiziosi per rilanciare l’economia. Gli investimenti in programma potrebbero essere orientati verso sistemi produttivi più sostenibili per l’ambiente, riducendo il rischio di arrivare all’aumento dei 3°C della temperatura media globale entro fine secolo.

I modelli realizzati nel rapporto UNEP stimano che con i giusti interventi “green” tutti i Paesi si possano impegnare per rispettare gli accordi presi a Parigi nel 2015, mantenendo l’aumento della temperatura media globale tra gli 1,5 e i 2°C.

La pandemia di COVID-19 ha dunque confermato fin qui due cose. La prima è che, per diminuire in modo pesante la concentrazione di gas serra nell’atmosfera, sono necessari interventi molto più radicali di quelli che si sono messi in atto fino a questo momento, seguendo sempre la scia delle decisioni prese nel 2015. La seconda è che gli sforzi individuali per ridurre l’impatto delle attività umane sull’atmosfera, per quanto lodevoli, servono a poco. Dobbiamo anche pensare che in questo periodo i governi erano impegnati a combattere la pandemia, ma i vertici europei aggiungono che dal Covid bisogna uscirne anche con una visione green vincente. È necessario migliorare gli edifici e le fabbriche riducendo al minimo le emissioni e puntare sempre di più a ridurre l’uso di carbone da parte delle attività produttive e non. Tutto ciò al massimo entro quel 2050 su cui la Commissione non dà tregua . Infatti, nonostante questo sia il calo annuale di emissioni più grande dalla seconda guerra mondiale, è comunque solo temporaneo e dunque insufficiente. Infatti, tutto ciò non avrà un grande impatto sui cambiamenti climatici, perché è quasi nulla in confronto alle emissioni accumulate fino ad ora. Il suggerimento che si dà ai governi che dovranno far ripartire l’economia è di applicare misure che non aumentino le emissioni di CO2, quindi sarà necessario concentrarsi su trasporti innovativi e sull’utilizzo di energie rinnovabili.

C.P.

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