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DA UNA PANDEMIA MODERNA AD UNA MEDIEVALE: UN INVIATO SPECIALE RACCONTA


Firenze, giorno 672 di quarantena


Mi ero svegliato un po’ annoiato, non avevo programmi per quella giornata, come era accaduto già per le precedenti.

La pandemia da Covid19 cominciava a darmi alla testa. Era il 672esimo giorno che eravamo sottoposti a questa tortura: stare chiusi in casa per tutto il giorno, non poter uscire neanche per andare a fare spesa…insomma, un vero disastro.

Andai a fare colazione con le ultime fette biscottate rimaste e pensai che forse era ora di rifare un ordine per approvvigionarsi di un po' di viveri.

Bevuto un sorso di latte, mi misi davanti al pc, e cercai qualcosa da fare.

Mi venne in mente un’idea: perchè non andare in garage e provare a riaccendere quel catorcio di macchina del tempo che mio nonno aveva costruito qualche anno prima?

Così mi vestii, calzai le scarpe e scesi sotto, tolsi il telo che copriva il marchingegno e provai ad accenderlo, ma nulla: non ne voleva sapere di partire. Eh, questi motori a benzina…sicuramente con uno elettrico sarebbe stato molto più facile.

Dopo svariati tentativi, una pulizia profonda delle candele e dei carburatori, riuscii a metterlo in moto. Si accese quel misero display a quattro cifre che permetteva, a differenza delle moderne macchine del tempo, solamente di scegliere l’anno in cui andare.

Provai a girare il selettore annuale ma era bloccato. Attirò la mia attenzione un tasto che non avevo mai notato prima: c’era scritto “Go to a random year”.

Dato che la mia voglia di smontare la manopola difettosa e provare a ripararla era pari a zero, decisi di cliccare quel tasto.

Mi sedetti sul sedile ricavato da un carrello della spesa e iniziai il mio viaggio.

L’anno comparve solo dopo che fui arrivato, quando capii di trovarmi nel 1350, l’anno della peste nera.

Il destino, come se non bastassero tutti quei giorni di quarantena passati a casa rinchiuso, mi aveva catapultato in un altro periodo di pandemia, una non moderna quanto quella da Covid19, ma pur sempre molto contagiosa e mortale.

Andai in giro per la città, e vidi mano a mano sempre più persone distese a terra, sulla sporcizia e in mezzo ai topi, piene di ascessi e bubboni sull'inguine, sotto le ascelle e sul collo, dovuti all’infiammazione dei linfonodi causata dalla malattia.

Fino ad allora avevo solamente letto di questa malattia, ma vedere e toccare con mano la realtà e gli effetti fu molto straziante.

Girovagando, la mia attenzione cadde su un gruppo di persone che con una valigetta andavano in giro casa per casa. Incuriosito, mi avvicinai e chiesi informazioni.

Mi dissero che erano dei medici che andavano a curare la peste. Io, appassionato di medicina e interessato a quella maschera strana che indossavano, colsi l’occasione di porre qualche domanda ad uno di loro.


- Innanzitutto, chi è lei?

Piacere, mi presento: sono Cosimo Ridolfi, un medico della peste del ‘300. Ho una laurea in medicina e sono un dipendente pubblico della città, assunto alla comparsa di questa malattia. Il mio compito è quello di alleviare le sofferenze delle persone affette da questa peste, mettendo in atto delle strategie protettive e registrare le volontà di chi sta per morire.


- Io provengo dal futuro e anche noi stiamo vivendo una pandemia chiamata Covid19. È iniziata nei primi mesi del 2020 in Cina, la vostra invece da dove è partita?

Si, la peste bubbonica, chiamata anche Morte Nera, è partita da un focolaio situato sulla valle del monte Himalaya. Qui infatti, dai recenti studi che abbiamo condotto, il batterio, di cui ancora non sappiamo nulla, potrebbe essersi sviluppato a causa delle condizioni climatiche e igieniche favorevoli. Sicuramente si è poi diffuso per la grande frequenza del commercio in quella zona dove passa la Via della Seta.


- Da quello che ho capito, ancora non siete riusciti a trovare il batterio colpevole. Avete però un’idea su come si sia trasmesso e quanto velocemente?

Purtroppo, come ho detto anche prima, ancora abbiamo eseguito pochi studi, ma probabilmente la colpa va ricondotta agli animali, ai roditori e alle loro pulci, che viaggiando trasmettono la peste in giro per tutto il Mondo.


- Noi abbiamo da poco trovato un vaccino che previene le conseguenze peggiori di questo virus. Per quanto riguarda la peste, come vi state comportando?

Per ora non è stata trovata alcuna cura, ci servirebbero degli antibiotici, ma si tratta di una tecnologia di cui attualmente possiamo solo fantasticare. Ci limitiamo solamente ad eseguire interventi che alleviano la situazione degli ammalati, usiamo tecniche e vari consigli che sono stati tramandati di generazione in generazione, come evitare o preferire certi tipi di cibo.


- Come vi comportate voi medici con gli ammalati?

Innanzitutto cerchiamo di non contrarre anche noi l’infezione. Pensiamo che essa avvenga per via aerea, quindi quando ci rapportiamo con i malati, ad esempio per prendere il polso, ci voltiamo con il capo sempre all’indietro. Alziamo gli indumenti con un lungo bastone e poi con dei bisturi, anch’essi lunghi come pertiche, eseguiamo delle flebotomie, praticando un salasso, ovvero tagliamo alcune vene per ridurre la quantità di sangue malato presente nel corpo. Infatti, pensiamo che aprendo queste ferite, il sangue infetto venga eliminato.


- Da noi, negli ospedali, o anche più semplicemente quando vanno a visitare i malati, i medici sono protetti da tute che li coprono dai piedi alla testa e indossano una mascherina. Voi come vi proteggete?

Noi ci disinfettiamo le mani e il viso con acqua e aceto, una soluzione con azione pesticida. In ogni stanza dove lavoriamo, come quelle dei malati, accendiamo fuochi, cosicché l’aria venga purificata dal bruciare della legna. Una cosa è importante: i malati vanno messi su un soppalco, in modo tale che l’aria calda, che è quella attraverso la quale si trasmette il virus, vada in alto e non contamini quella in basso, respirata dagli altri membri della famiglia. È importante anche che entri solamente il vento freddo proveniente da nord e mai quello afoso e umido meridionale. Oltre a questo, la protezione più efficace è ovviamente il distanziamento.


- Quindi la maschera che portate a cosa serve?

Questa maschera con un becco lungo una ventina di centimetri davanti ci permette di proteggerci dal virus. Sul davanti ci sono due buchi, sufficienti per respirare. Dentro mettiamo un mix di erbe, fiori, incenso ed altro per purificare l’aria prima che arrivi alle nostre vie respiratorie.


- Le persone che non riescono a salvarsi come vengono trattate?

I morti o le persone alle quali non è più possibile somministrare cure perché, ad esempio, la malattia raggiunge uno stato terminale, vengono trasportati nei lazzaretti dai “monatti”, gente condannata al carcere o a morte, oppure che ha già contratto il virus e, essendone guarita, è immune. i lazzaretti sono dei luoghi fatti apposta per l’isolamento delle persone affette da malattie contagiose. Anche chi è stato solo a contatto con dei malati viene portato qui e separato dagli altri, così che trascorra un periodo di tempo a scopo precauzionale, di solito quaranta giorni, per poi tornare nella città.


Mi sarei fermato ancora ore ed ore ad ascoltarlo, ma passata una mezz’oretta con lui, dovetti salutarlo. Come ho detto all’inizio di questa storia, io sono molto appassionato di medicina e farmi raccontare queste cose da chi le ha vissute, invece che leggerne su un libro di storia, ha un altro fascino.

Trascorsi l’ultima ora prima del tramonto girovagando ancora per Firenze e riflettendo su quanto i metodi per la cura e la prevenzione del contagio siano simili a quelli del nostro Coronavirus. Alla base di tutto c’era il distanziamento e lo spostamento delle persone era possibile, come anche oggi, solamente se si aveva un certificato di buona salute.

Questa storia della peste mi ha affascinato: una volta tornato a casa, organizzerò subito un altro viaggio, questa volta nella peste del XVII secolo. Prima, però, dovrò riparare il selettore dell’anno!



Riccardo Urli - 3D


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