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IL DIRITTO DI RESPIRARE: LA RICERCA DI UN'ESISTENZA FELICE PER DUE STORIE DIVERSE


All’interno del Premio David di Donatello, il più importante concorso cinematografico italiano, nel 1997 è stato istituito il Premio David Giovani, che viene assegnato al miglior film votato da una giuria di studenti delle scuole superiori e delle università. I giurati vengono selezionati sulla base di recensioni scritte o multimediali di film visionati sulla piattaforma Agiscuola. Prima del Covid-19 la visione delle pellicole avveniva normalmente nelle sale cinematografiche.


In questo articolo si propone la recensione di due film: “Nevia” della regista Nunzia De Stefano e “Famosa” di Alessandra Mortelliti, entrambi del 2019, con la quale partecipo alla selezione dei giovani giurati.


Picasso dipinge il quadro “Due donne che corrono sulla spiaggia” durante una fase della sua vita di prepotente felicità. Con la tela egli cerca di trasmettere una sensazione di pura libertà. La spensierata corsa delle due ragazze può essere intesa come un tentativo di fuga, un’evasione dal mondo reale, come una formula magica per la felicità. È partendo da questa immagine che si possono analizzare, quasi a sovrapporle, le storie di due ragazzi, due adolescenti: Nevia e Rocco, entrambi alla ricerca di quel magnifico stato di pace interiore che chiamiamo felicità. Questa ricerca, che appartiene a tutti noi, contiene però al suo interno una drammatica domanda, che ricorre nel tessuto narrativo dei due film, costantemente in bilico tra adolescenza ed acquisizione di una contrastata maturità: è possibile ricercare la felicità se non esistono le condizioni sociali per ottenerla?


Nel primo film, opera prima di Nunzia De Stefano, si racconta la vicenda di Nevia, una diciassettenne diventata grande prima ancora di poter essere bambina. Ragazza minuta ma forte, cresce accanto ad altre tre figure femminili nella desolazione e nella miseria sociale di un quartiere periferico di Napoli: la nonna Nanà, zia Lucia e la piccola sorella Enza. Nevia ha un passato doloroso alle spalle: sua madre è morta quando era bambina e di lei le resta soltanto una piccola immagine sbiadita, che tiene sul comodino circondata da candele e lumini come se fosse un piccolo santuario; il padre è in prigione e non si è mai occupato delle figlie. Nevia e la sorellina crescono, così, con la nonna, all’interno della baraccopoli di Ponticelli, il “ghetto di amianto” dei dimenticati, costruito dopo il terremoto dell’Irpinia e abitato dai cosiddetti “invisibili”, sfollati che attendono da trentacinque anni un futuro migliore, una vita più giusta e dignitosa. Ponticelli è lo specchio della nostra società, incurante degli ultimi.

È un circo equestre di passaggio nella periferia napoletana a rompere violentemente e per sempre i precari equilibri che sorreggono la giovane vita di Nevia. La ragazza, infatti, trova la sua felicità occupandosi amorevolmente degli animali del circo e nella compagnia di artisti e giocolieri, che diventano in poco tempo quella famiglia vera che lei non ha mai avuto. Lavorando nel circo Nevia cerca di allontanarsi dal disagio sociale in cui vive per trovare una propria strada. In questo percorso è ostacolata dalla nonna, emblema della povertà materiale e morale di questo ambiente popolare, la quale smercia telefonini rubati. Come lei, anche Salvatore, un barista invaghito della ragazza, è contrario al nuovo lavoro di Nevia. Quest’ultimo vorrebbe tenersi la ragazza, in modo morboso, solo per se stesso. Entrambi si oppongono in tutti modi alla scelta di libertà di Nevia.

Il circo rappresenta l’evasione, il mondo fantastico, tutto ciò che è più lontano dalla società in generale e dall’ambiente familiare della ragazza. Nevia desidera soltanto essere un’adolescente come tante, quell’adolescente che non si è mai potuta permettere di essere, desiderosa solo di un po’ di serenità; non a caso riesce a lasciarsi alle spalle il suo passato doloroso e violento solo nel momento in cui decide di abbandonare definitivamente la baraccopoli di Ponticelli per entrare a far parte del circo stesso. Quella di Nevia è una fuga a tutti gli effetti e con sé porta delle cicatrici destinate ad accompagnarla per sempre, ma la sua forza e la sua consapevolezza sono tali che il suo sorriso non può non catturare lo sguardo dello spettatore nel fotogramma finale del film. Finalmente un volto felice, che lascia ben sperare in futuro migliore per la ragazza. Come ci ricorda Madre Teresa di Calcutta, “le cicatrici sono il segno che è stata dura, il sorriso il segno che ce l’abbiamo fatta”.


Nel secondo film, “Famosa”, ambientato nella Ciociaria, Rocco ha gli stessi anni di Nevia e anche lui vive una condizione di estrema miseria con molte difficoltà. In entrambi i film, l’uso del dialetto accentua drammaticamente il realismo della narrazione. La complessa situazione familiare, con un padre alcolizzato e disoccupato ed una madre vittima dei soprusi del marito, fanno da sfondo alla storia narrata in questo film, opera prima di Alessandra Mortelliti. Se in Nevia, la ragazza riesce a trovare il suo momento di felicità nel circo, Rocco ha invece la sua unica valvola di sfogo nel ballo e nella musica. La sua camera tappezzata di poster sul mondo della danza è l’unico luogo in cui il ragazzo si sente veramente protetto e sicuro. La sua omosessualità lo esclude ancor di più dalla convivialità del paesino in cui vive; Rocco, infatti, viene emarginato da tutti, non ha amici, il suo carattere timido e introverso lo isola ancora di più. Nel paese circolano numerose menzogne sul suo conto, è oggetto di scherno da parte di tutti, è considerato un pagliaccio. In questo contesto, Rocco si rifugia unicamente nel ballo. Come Nevia, che ripone tutte le sue speranze nel circo, Rocco crede fermamente in un fatidico provino a Cinecittà, che può permettergli di iniziare una nuova vita a Roma, completamente dedicata alla sua unica passione, la danza. Arrivato nella capitale, il ragazzo è però costretto ad affrontare molteplici problemi e difficoltà che lo costringono a lasciare la città, precludendosi in questo modo il futuro da ballerino. Tornato a casa, l’atteggiamento repressivo e aggressivo del padre porta ad una violenta lite tra i due. Venuto a conoscenza sia dell’omosessualità del figlio, sia della sua passione per il ballo, il padre lo accusa di essere la vergogna della famiglia. Rocco esasperato dalla situazione perde la lucidità e tutta la rabbia repressa lo porta a compiere un gesto estremo ed impulsivo.

La scena finale del film è una rappresentazione perfetta della violenza e della crudeltà che caratterizzano il nostro mondo. Il ragazzo, infatti, in preda alle passioni, disorientato e confuso, scalzo, scappa dall’abitazione dopo aver ucciso il padre. Durante la fuga si imbatte nella festa del paese, dove i ragazzi del posto che da sempre lo deridono, lo costringono a bere e ballare. Denudato e malmenato da tutti, egli è succube della violenza di tutte le persone presenti. Rocco diventa, così, il simbolo della fragilità umana; spogliato dei suoi vestiti, inerme e impassibile, subisce la ferocia della società e dei suoi pregiudizi. Egli si trasforma quasi in un’immagine surreale della passione del Cristo deriso e colpito dalla folla mentre sale al Calvario; anche l’aspetto fisico e i suoi abiti lacerati sembrano richiamare questa immagine. Se nell’ultima scena di “Nevia”, la regista ritrae la ragazza felice e sorridente, con il volto truccato da pagliaccio, fiera in qualche modo di essersi potuta riscattare, in “Famosa” il finale è più amaro: Rocco viene portato via da due carabinieri, in una situazione che simboleggia il suo totale fallimento.


Nelle due pellicole si delineano storie molto simili, con molti punti in comune: la tenera età dei protagonisti, la provenienza sociale, la speranza in un futuro migliore più giusto ed equo, che possa dare ad entrambi la possibilità di esprimersi in totale libertà. I finali, però, sono molti diversi. Rocco, il protagonista di “Famosa”, non riesce a consacrare il suo sogno di diventare ballerino e il suo futuro è ormai segnato; egli è succube di una realtà violenta e di una società spietata, mentre Nevia riesce a fuggire da Napoli, a darsi un futuro rifugiandosi all’interno del circo insieme a sua sorella. Se in “Famosa” Rocco viene rappresentato come una persona candida, pura, che si fida totalmente degli altri, perché vuole essere parte del loro universo, vuole farsi accettare, in “Nevia”, la ragazza è più consapevole della sua realtà, è più dura e non si fida mai di nessuno, nemmeno di sua nonna. Oltre a difendere se stessa, Nevia si deve occupare anche di sua sorella. Rocco, dunque, è buono e più ingenuo rispetto alla sua ideale controparte femminile. Queste caratteristiche emergono in un preciso momento della sua storia, quando il ragazzo, dopo essere stato invitato ad una festa, decide di spendere tutti i suoi soldi per comprare dei vestiti che lo possano far accettare dai suoi compagni di classe. Rocco sa bene che è stato invitato solo perché è il pagliaccio della scuola, nonostante ciò, decide di andare ugualmente alla festa.

La differenza più significativa tra i due protagonisti è da individuare nelle loro particolari collocazioni sociali. Nevia è totalmente immersa nella realtà, conosce bene i violenti e i crudeli meccanismi che la caratterizzano; rispetto a Rocco, lei è più consapevole del contesto che la circonda. Il ragazzo, invece, è escluso da tutto; è la sua stessa purezza a non fargli capire quanto sia crudo e violento il mondo in cui vive. La ragazza sa bene che non può cambiare la società e per questo decide di scappare, di abbandonare il suo ambiente quotidiano per lasciarsi trasportare nel mondo fantastico del circo, mentre Rocco tenta disperatamente di farsi amare per quello che è. Egli spera di essere integrato in quel mondo dal quale è sempre stato escluso, ignaro del pericolo a cui va incontro. Rocco viene respinto, la sua omosessualità, la sua timidezza, la sua passione per il ballo non sono ammessi, né tollerati.

La felicità si può trovare anche se non esistono le condizioni sociali per ottenerla, ma per raggiungere tale obiettivo l’unica possibilità è fuggire, allontanarsi da quel mondo che non permette di essere veramente se stessi. Se Nevia fosse tornata a Ponticelli, probabilmente avrebbe fatto la stessa fine di Rocco. Sembra quasi che i due film ci vogliano dire che per trovare la felicità l’uomo abbia a sua disposizione un'unica scelta: la fuga. Questo è l’unico modo per evitare di essere assorbiti dai meccanismi alienanti del mondo contemporaneo. Nello stesso tempo, non possiamo non prendere atto del fallimento della nostra società, perché per essere felici ci costringe a scappare. Ognuno dovrebbe avere la possibilità di rimanere sempre fedele a se stesso, senza mai scendere a compromessi, mentre oggi o sei costretto a fuggire, o per sopravvivere devi limitarti a ricoprire il ruolo che la società ti assegna.


Pietro Ciuffetti

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