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IL NATALE RACCONTATO DALLA MUSICA POPOLARE


“Fiorivano i monti, sembrava estate; Splendeva la luna come fosse pieno giorno”: questa l’atmosfera natalizia che ci viene descritta in una canzone popolare friulana, “Lusive la Lune”, a ricordarci che il Natale celebra la nascita di Gesù, e quindi la nostra rinascita. Prima dell’avvento del Cristianesimo, infatti, in diverse culture (di religione politeista) a ridosso del 25 dicembre era celebrata, con il solstizio d’inverno, la data a seguito della quale cominciava la rivincita della luce sulle tenebre. Ancora oggi ciò che noi festeggiamo, che si tratti di un Natale laico o di un Natale cristiano, è la promessa di libertà, di amore e di speranza di salvezza che questo giorno si porta dentro. Il messaggio del Natale, prima di avere un valore Cristiano, ha un valore umano che ci permette, sopra ogni altra cosa, di farci sentire uniti; ma non mi piace dire “a prescindere dalle nostre differenze”: preferisco dire “grazie alle nostre differenze” o “interessandoci delle nostre differenze”. Penso che questo sia il messaggio del Natale, e che il nostro patrimonio musicale tradizionale natalizio possa aiutarci a trasmetterlo. Elencando canti popolari di diverse parti dell’Italia e del mondo, si nota quanto la musica popolare in generale, sempre esistita in ogni cultura, sia significativa per la cultura e la storia. Essa viene tramandata oralmente, per questo non è immutabile, ma subisce modifiche: ad esempio, accade di frequente che uno stesso tema venga ripreso modificando le parole, così quella che poteva essere un canto di lavoro, può diventare un canto di guerra (l’esempio più celebre è quello di Bella Ciao). Conseguentemente, gli autori dei canti popolari sono solitamente sconosciuti. È sorprendente notare come la musica popolare sia passata di bocca in bocca per secoli, e si sia conservata nella memoria entrando a far parte della tradizione culturale e annunciandoci che siamo uniti. È un po’ come se tutti avessimo sempre cantato la stessa musica.

In area friulana è presente, in diverse versioni, “Lusive la Lune” o “Puer Natus”, frutto della fusione tra un canto in latino e una carola popolare. Fa l’effetto di una soave ninna nanna, e ci proietta in un’atmosfera affascinante e magica, in cui la luna risplende come un sole, e i monti fioriti sono simbolo di rinascita: “Florivin i monts, pareve d’estat, lusive la lune come un biel dì quan che Marie a parturit. Cjantave il cuc e anche i ucej, di tuta las sortas di giovins di viel” (Fiorivano i monti, sembrava estate; Splendeva la luna come fosse pieno giorno quando Maria partorì. Cantava il cuculo e tutti gli uccelli, di tutti i tipi, giovani e vecchi). I giovani andavano di porta in porta e cantavano in cambio di doni.

Il canto popolare più diffuso nell’area Marchigiana, soprattutto nei pressi di Macerata, è Natu natu Nazzarè, decisamente più vivace di “Lusive la Lune”, dotata di un accompagnamento musicale formato prevalentemente da tamburello e fisarmonica. Il canto vuole annunciare la nascita di Gesù e descrive la scena a cui siamo tradizionalmente abituati: il bambino dorme tra le braccia di Maria all’interno di una capanna, scaldato dal bue e dall’asinello. “Natu, natu Nazzarè, tra la paja e tra lu fie’. Durmi, durmi, tra lu vo’ e l’asine’. Capanna sanda:’ndo’ che ci sta Jiusù, se sona e canda!”.

“Nascette lu Messia”, diffuso soprattutto a Napoli, è un canto benaugurale per la fine dell’anno, accompagnato dal ritmo di tamburelli e putipù (strumento simile ad un tamburo ampiamente usato nella tradizione popolare). “Si 'ntiempo nun veneva/ da cielo lu guaglione/ ca p'essere squarcione/ se priggiaie. /Ce fà' venire a mente /la lummenosa stella, /la bella 'rutticella /e li pasture.” (Se in tempo non veniva/dal cielo il Bambino/che del suo altruismo/ci pregiò. Ci fa tornare in mente/ la stella luminosa/la graziosa piccola grotta/ed i pastori). Per l’occasione I giovani andavano in giro per le case dei contadi sperando di ottenere una “’nferta”, e, una volta terminato il canto, lanciavano una pietra ai piedi del genitore, del padrone o del nobile in segno di rispetto verso le gerarchie familiari e sociali.

Spostiamoci in Sardegna con il canto Naschid’est, cioè “è nato”. Anche qui viene descritta una scena simile al presepe a cui siamo abituati, con Gesù, nato in una capanna di Betlemme, gli Angeli che annunciano la sua nascita, i pastori incantati, che, dice la canzone, non offrono al bambino oro e argento, ma qualcosa di molto più prezioso: la loro anima. “E benian sos pastores incantados: cre’ o no cre’? E a cussos resplendores apuntan lestros su pe’. E narat donniunu in coro: Bambineddu, inoghe so, non ti ‘atto prata et oro ma cust'ànima ti do.” (E venivano i pastori incantati: credere o non credere? e a quegli splendori dirigono rapidi il piede. E ciascuno dice nel suo cuore: “Bambinello, eccomi qua, non ti porto argento e oro, ma quest’anima ti do”.

Spostandoci oltre i confini dell’Italia, propongo di ascoltare una tradizionale carola natalizia spagnola, diffusasi anche come ninna nanna popolare: si tratta di “A la nanita nana”, cioè “alla piccolina”. È una delicata ninna nanna, in cui a parlare è, forse, una madre, che tiene la sua bambina in una culla che dondola nel bosco, dove gli usignoli cantano e vi sono fonti d’acqua chiara. Quando si pensa alla musica popolare spagnola, le prime cose che vengono in mente sono la chitarra, usata anche con virtuosismo, le nacchere, il flamenco. La tradizione musicale spagnola è molto varia e contaminata, è espressione soprattutto delle influenze arabe, gitane e ebraiche, ed ha avuto grandi legami soprattutto nella cultura provenzale e in quella dell’Italia settentrionale.

Un altro paese famoso per la sua tradizione folkloristica è sicuramente l’Irlanda. Se dovessi pensare ad un aggettivo che descrive questo tipo di musica, in un primo momento direi crepitante. È un aggettivo strano che uso per descrivere ciò che mi trasmette la musica irlandese, così vivace, potente, accesa, che mi fa pensare a un fuoco. Le immagini che ci evoca la musica popolare irlandese (ma anche britannica in generale) sono costituite dalle danze, le ballate dal ritmo marcato, la cornamusa, l’arpa celtica, il tin whistle (piccolo flauto), ma anche il violino. Non mi resta che proporvi quest’ultimo canto natalizio: “Don Oiche Ud I mBeithil”, in lingua irlandese, di origini incerte, in cui si nota la presenza degli strumenti musicali tipici. Si racconta di una notte luminosa come l’alba, la notte in cui nasce Gesù, e i pastori un po’ impauriti si inchinano al bambino.

Vorrei ora spostarmi ulteriormente sul mappamondo per fare tappa in America, precisamente negli Stati Uniti, luogo in cui, dal Seicento, venivano deportati e sfruttati come schiavi gli africani vittime del commercio triangolare. Giunti in America, essi venivano privati di diritti e libertà e costretti a lavorare nelle piantagioni in condizioni disumane. Molti di loro vennero costretti a convertirsi al Cristianesimo; molti lo fecero di loro spontanea volontà, riconoscendosi nelle storie della Bibbia; ma la cultura e le tradizioni africane da cui gli schiavi erano stati allontanati sopravvissero, seppur clandestinamente e nei limiti imposti dall’analfabetismo. Nacquero così tra gli afroamericani canti di lavoro, i worksong, e canti religiosi, gli spiritual, antenati del gospel. Di seguito riporto un esempio di spiritual, “Swing low, sweet chariot”, cioè “Dondola piano, dolce carro”, canto religioso in cui gli schiavi africani, che si identificavano nei racconti biblici degli ebrei resi schiavi da Egizi o Babilonesi, esprimevano la speranza in una vita ultraterrena.

Tipico della musica popolare afroamericana è lo stile responsoriale (formato da un coro che risponde ad un solista), ma anche l’elemento del ritmo, spesso sincopato, che caratterizzerà ovviamente anche il jazz. Infatti, la cultura afroamericana poté trovare espressione solo dopo l’abolizione della schiavitù, a seguito della quale i neri poterono anche procurarsi degli strumenti musicali. È grazie ad essa che è nato il jazz, genere musicale che rappresenta una vera e propria rivoluzione, in quanto modifica la concezione del ritmo presente fino ad allora e mescola elementi della musica africana, europea e americana, diventando per i neri un simbolo di riscatto. Il jazz nacque come risultato dell’influenza di worksong e spiritual, blues e ragtime. Per comprendere quanto la cultura afroamericana sia ormai entrata a far parte della tradizione degli Stati Uniti potremmo fare diversi esempi, ma si pensi alla musica natalizia: una delle prime cose che ci vengono in mente non è forse il coro gospel, che effettivamente troviamo nella maggior parte delle canzoni e dei film di Natale? Una delle conclusioni che spero possiate trarre è l’importanza della tradizione: la musica, come ogni altra forma di arte e di espressione, è in grado di raccontarci la nostra storia. Se studiamo arte (anche se musica purtroppo solo fino alle medie) uno dei motivi è sicuramente acquisire una consapevolezza culturale. Non dobbiamo, infatti, commettere l’errore di credere di poter costruire un futuro ignorando o disprezzando il passato (un po’ come i futuristi…). Non possiamo utilizzare tutti gli strumenti e le conoscenze che abbiamo a disposizione oggi, e crederci migliori di coloro che sono venuti prima di noi, senza sapere il percorso che l’umanità ha intrapreso per arrivare a tutto ciò: sarebbe come costruire una casa senza le fondamenta.

Beatrice Trottolini 1M


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