Abbiamo intervistato Francesca Ferrante, Global Clinical Leader del programma di terapia genica sul fattore VIII della Bayer, attualmente al lavoro per l’approvazione di un farmaco genico che potrebbe rivoluzionare il modo in cui trattiamo pazienti emofilici.
Quale è il ruolo dei medici all’interno delle case farmaceutiche?
Sono molti i ruoli che un medico può svolgere all’interno di un’azienda farmaceutica. Ma ce ne sono alcuni che solo questa figura professionale può ricoprire, come ad esempio lavorare allo sviluppo clinico di un farmaco e quindi seguire i pazienti che partecipano alla sperimentazione, tenere le relazioni con i medici curanti e con enti come l’EMA (European Medicines Agency)
Può anche occuparsi della direzione medica, ovvero incaricarsi di formare gli informatori scientifici che, dopo l’approvazione del farmaco da parte degli enti responsabili e il suo lancio nel mercato, lo andranno a presentare ai vari medici.
Alcuni medici aziendali hanno anche il compito di intrattenere rapporti con i KOL, i Key Opinion Leaders, che sono quelle figure che più di tutte influenzano l’opinione dei medici nella scelta di uno specifico farmaco. Queste figure possono spesso essere anche relatori in convegni in cui il farmaco viene presentato, dal medico della casa farmaceutica che espone loro i vari studi e dati su di esso.
Quale è il suo ruolo all’interno della Bayer? E come è iniziata la sua carriera da medico aziendale?
Mi sono laureata alla facoltà di medicina di Perugia all’età di 30 anni, quando avevo già due figli, con il desiderio di diventare pediatra. Mi sono successivamente specializzata nella ricerca di laboratorio, strada in un certo senso secondaria, che però mi ha condotta a lavorare nell’ambito della coagulazione e delle malattie emorragiche. Dopo circa dieci anni di lavoro in ospedale non era facile trovare un posto più stabile, quando, quasi per caso, mi si è presentata la possibilità di lavorare nella direzione medica di una casa farmaceutica.
Ho accettato questo lavoro con riluttanza, sentendo di rinunciare al sogno di lavorare in ospedale con i pazienti, ma vedendola anche come l’unica opzione possibile per poter meglio supportare la mia famiglia. Dopo qualche anno, sono stata notata da un cosiddetto “head hunter” della nota casa farmaceutica Bayer, ovvero quella figura professionale all’interno di un’azienda che si occupa di cercare professionisti adatti a ricoprire determinati ruoli nell’azienda, ad esempio tramite la piattaforma LinkedIn.
Inizialmente ero quasi spaventata perché mi chiedevano di ricoprire un ruolo che non avevo mai ricoperto, ma loro erano interessati al mio knowhow, cioè alle mie conoscenze e competenze nell’ambito dell’emofilia, che tuttora è il mio campo.
Ha mai avuto problemi nel mondo del lavoro in quanto donna?
Nelle aziende oggi fortunatamente c’è una grande attenzione alla diversità e soprattutto alla presenza delle donne nelle aziende, ma rimane un dato di fatto che man mano che si sale nelle piramidi aziendali, avvicinandosi a ruoli più prestigiosi e di responsabilità, si trovano sempre meno donne. Si tratta di un ambiente in cui il retaggio culturale del sessismo è ancora molto radicato, visto che ancora oggi sono spesso uomini bianchi a ricoprire i ruoli più in alto. Nonostante questo però è presente un badge mark grazie al quale persone che hanno stesse capacità e che ricoprono stessi ruoli ricevono lo stesso compenso, indipendentemente dal fatto che siano maschi o femmine.
Generalmente è una questione più sociale che legislativa, visto che sono molte le misure prese per contrastare discriminazioni sulla base del sesso. Ad esempio, è stato introdotto il congedo di paternità per permettere agli uomini di dedicarsi alle loro famiglie proprio come le loro controparti femminili, ma anche per sostenere le donne che altrimenti, proprio a causa di questa che dovrebbe essere un’agevolazione, si trovano discriminate e metterle al pari dei loro colleghi.
Nella mia personale esperienza non ho mai sperimentato episodi di sessismo nei miei confronti, ma ho visto donne soffrirne. Ad esempio, uscendo da un colloquio con una potenziale assistente, mi è stato chiesto da un collega uomo se avessi domandato alla candidata il suo stato civile e se avesse intenzione di avere figli.
Che cosa è l’emofilia?
L’emofilia A è data dalla mancanza del fattore ottavo a causa di una mutazione genetica. Questo determina nei pazienti delle emorragie dovute non solo a ferite, ma anche ad attività quotidiane come camminare. Spesso queste emorragie si verificano a livello articolare e possono portare i pazienti a soffrire di artropatia.
Dagli anni ’60 il fattore ottavo è stato studiato, isolato e ora può essere trovato sotto forma di polvere, diluito e assunto tramite un’iniezione endovena. Il problema è che l’effetto dell’iniezione dura soltanto per un giorno circa, quindi i pazienti sono costretti a fare iniezioni molto frequentemente, praticamente un giorno si e uno no. Chi è affetto da questa malattia non può permettersi di saltare nemmeno un’iniezione all’anno, perché rischierebbe di azzerare tutti i risultati raggiunti nell’arco di tempo in cui ha fatto uso del farmaco.
Nel tempo si è cercata una soluzione alternativa, a più lunga durata, e infatti nel 2018 è arrivato un farmaco sottocutaneo che dura una settimana dalla somministrazione, una soluzione migliore anche se non del tutto efficace
Come funziona il farmaco genico che state sviluppando?
Il farmaco genico che stiamo sviluppando agisce sulle cellule del fegato, che vengono esposte al gene responsabile della produzione di FVIII e cominciano a riprodurlo, pur non integrandolo nel proprio DNA. È come se i nostri geni fossero una tastiera, attraverso la quale le cellule producono le proteine necessarie al nostro organismo e quello che il nostro farmaco sta facendo è aggiungere un tasto in più a quella tastiera, per produrre l’FVIII che il corpo degli emofilici altrimenti non produrrebbe.
Il nostro farmaco sfrutta un vettore, ovvero un virus privato delle caratteristiche patogene all’interno del quale è stato inserito il DNA desiderato. Nello specifico, stiamo usando un AAV (adeno-associated virus) che avendo un tropismo per i tessuti del fegato dirige il nostro farmaco lì. Il vettore che usiamo contiene la sequenza in cui si trova il gene per la produzione del FVIII, la sequenza che permette al vettore di arrivare al fegato e quella che stimola nella cellula la codificazione del gene per l’FVIII.
Quello che vogliamo ottenere con il nostro farmaco è una terapia meno invasiva per gli emofilici, che permetta ai malati di non doversi sottoporre a iniezioni endovena così frequenti.
Stiamo ancora cercando di determinare il tempo per cui si prolunga l’efficacia del nostro farmaco, che per ora si aggira attorno ai 5 anni, ma speriamo di arrivare a sviluppare un farmaco che permetta ai pazienti di doversi sottoporre a una sola iniezione endovena di circa mezz’ora o un’ora nella loro vita
Quali sono le fasi della sperimentazione a cui avete dovuto sottoporre il vostro farmaco?
Intanto premetto che la sperimentazione di un farmaco è un processo molto lungo, che avviene nel corso di anni, almeno 10 -15. Per i vaccini il tempo è minore e comunque le pratiche possono essere sveltite, come abbiamo visto nel caso del COVID-19, in situazioni in cui i benefici del farmaco dipendono in modo importante dalla rapidità con cui viene sviluppato.
Le fasi di sperimentazione di un farmaco si articolano principalmente in “pre-clinical phases”, ovvero le fasi di sperimentazione in vitro e sugli animali e “clinical phases”, quelle sugli uomini che vengono effettuate secondo fasce decrescenti di età a partire dagli adulti per arrivare ai neonati.
Dopo aver condotto tutti questi studi, i farmaci passano all’approvazione dagli enti regolatori che valutano se i disegni di progetto dello sviluppo del farmaco sono stati rispettati e se gli obiettivi posti all’inizio della sperimentazione sono stati raggiunti. L’analisi statistica dei dati raccolti, poi, serve ad accertarsi che i risultati ottenuti siano dati dal rigore scientifico e non dal caso. In questo momento sentiamo tanto parlare di teorie del complotto riguardanti la veloce approvazione del vaccino anti-COVID, ma le persone devono sapere che enti come l’EMA non sono mai d’accordo con le aziende farmaceutiche, anzi cercano di metterle “in difficoltà” accertandosi che tutto sia fatto secondo le norme e producendo una stima accurata del bilancio rischio-beneficio del farmaco.
Nel caso del nostro farmaco, siamo partiti con la sperimentazione sugli animali attorno al 2014 e siamo ora nella fase clinica da circa due anni. Per ora abbiamo riscontrato alcuni effetti collaterali, come l’infezione del fegato, che ha costretto alcuni pazienti a sottoporsi a cortisone anche per un anno consecutivo, ma se tutto dovesse andare per il meglio, come speriamo, dovremmo arrivare all’approvazione del farmaco nel 2024.
Come è stato passare dal suo ruolo di medico in ospedale a quello di medico alla Bayer?
Il mio sogno è sempre stato quello di fare la pediatra e non ero attratta dal laboratorio, a cui poi per varie ragioni mi sono dovuta dedicare. Ho accettato il mio primo lavoro in una casa farmaceutica con riluttanza, non ero convinta della scelta, ma ho dovuto farla.
Essere medico è stato fondamentale per svolgere il lavoro che faccio ora, perché studiare medicina mi ha dato, oltre alle competenze necessarie, anche il rigore e il metodo che altre facoltà scientifiche non danno.
Non ho più un contatto diretto con i miei pazienti, ma non mi sento inutile o lontana dal mondo della medicina, perché mi sento responsabile per tutti i pazienti del nostro studio e anche per i medici che ce li hanno affidati.
Il mio lavoro e tutti i miei anni di studio mi fanno sentire come una piccola goccia nell’oceano della sperimentazione, del futuro e della speranza. Non ho più l’opportunità e il compito di essere di conforto per dei pazienti, ma sono sicura di fare qualcosa che aiuterà molti a migliorare le loro condizioni di vita.
Un messaggio da dare ai nostri lettori e a chi vuole intraprendere il percorso di studi di medicina?
Il messaggio migliore che io possa dare è quello che, in qualità di mamma, ho sempre ripetuto ai miei figli: “Inseguite il vostro sogno finché potete, verrà il tempo in cui vi troverete davanti ad un bivio e dovrete impegnarvi a capire qual è la realtà e la scelta migliore da fare, ma fino ad allora lottate per fare ciò che più vi piace e che più vi rende felici”.
M.L.O , G.S.
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