top of page

INTERVISTA A FRANCESCA MANNOCCHI: "Lo sguardo oltre il confine"



Leggere un libro a scuola è sempre una scommessa, non sai mai quello che ti verrà proposto dai professori e speri sempre che sia del tuo genere preferito. 

Quest’anno il libro proposto è stato “Lo sguardo oltre il confine” di Francesca Mannocchi, una giornalista e scrittrice italiana che si occupa perlopiù di conflitti e migrazioni nei paesi del Medio Oriente. 

Questo volume racconta alcune storie di civili che devono affrontare la guerra nel loro Paese: persone che non sanno se scappare, abbandonare tutto e rifarsi una vita altrove o restare e quindi convivere con la costante paura di morire da un momento all’altro. 

Ogni capitolo del libro ha come titolo il Paese visitato dall’autrice e contiene le storie dei civili incontrati e conosciuti da Francesca Mannocchi durante i suoi viaggi di lavoro. Questi civili sono uomini e donne con destini diversi, ma con un nemico comune da sconfiggere: la guerra. Tra le varie persone che incontra ricordo: Mirna in Libano, Serghei e Alina in Ucraina, Fahim e Yaqub in Afghanistan, Husen e Oismann in Libia, Ali al-Baroodi in Iraq e Shadi, Monther e Zaouir in Siria.    

Il 27 novembre scorso, alcune classi del nostro liceo hanno avuto la fortuna di incontrare l’autrice personalmente e di farle alcune domande riguardanti il libro e non solo. Alla fine dell’incontro, l’autrice ci ha rilasciato una breve intervista che riportiamo qua sotto. 


Quali consigli dà ai giovani che vogliono intraprendere il suo lavoro? Per lei, quand’è che un giornalista è un “bravo giornalista"?


“La strada che consiglio di intraprendere parte da un approfondito studio della storia e delle lingue perché consente, in un mondo necessariamente allargato come quello di oggi, di poter lavorare ovunque ed essere molto mobili. Vi suggerisco di non abbandonare le vostre passioni artistiche come cinema, teatro, musica… perché spesso i giornalisti hanno una tendenza all'iper specializzazione, si concentrano solo su uno specifico campo, leggono e scrivono solo di quello. Invece, per chi di voi vuole scrivere o fare podcast, coltivare delle passioni diverse permette di fertilizzare la propria preparazione su altri ambiti.”


Quali consigli dà a una piccola redazione come quella scolastica, come si dovrebbe muovere? 


“Il mio consiglio è di cominciare una specie di ginnastica di lettura dei giornali stranieri e confrontarli, cominciare a leggere dei pezzi in lingua e cominciare anche a comparare i giornali conservatori e quelli progressisti nei diversi paesi. Magari una volta al mese analizzare come i giornali francesi affrontano la politica estera o la politica interna, ugualmente quelli spagnoli o quelli statunitensi e allargare il più possibile lo sguardo, anche su paesi che oggi ci sembrano meno raccontati o meno importanti: dove stanno accadendo meno cose… in un mondo in cui però tutto si sta spostando verso l'Estremo Oriente.”


Durante il viaggio in Afghanistan ci ha raccontato di Fahim e di come lui abbia cercato una via di salvezza appena scoppiato il conflitto, mentre Hussein ha deciso di rimanere in Libia, la sua patria. Lei biasima una scelta rispetto a un’altra? Secondo lei quali sono le motivazioni che li ha portati a fare queste scelte? In prima persona, lei come si comporterebbe? 


“Difficile dirlo senza trovarsi nelle loro condizioni; ho la tendenza a non acquisire né biasimare le posizioni degli altri. Nel caso di Fahim mi sono detta “capisco perché scappi” e poi mi sono detta “cosa resta di un paese che si svuota delle sue menti migliori?”, però quello è un uomo che aveva paura di essere ucciso e quindi è difficile biasimarlo. Contestualmente Hussein ha deciso di restare in un posto corrotto, violento per provare ad essere un cambiamento dall’interno, quindi analogamente ha la mia stima, ma certe volte quando l’ho visto invischiato in situazioni molto al limite tra il malaffare e la buona condotta mi sono chiesta a quanti compromessi spinga la vita di chi è costretto a restare in un posto come la Libia”. 


Lei avrebbe il coraggio di entrare a Gaza? 


“Io sono stata a Gaza 10 anni fa, la conosco abbastanza bene. Mi si porrebbe un tema, non ti nascondo, etico di entrare “embedded” con l’esercito israeliano. Ovviamente siamo giornalisti e dobbiamo farlo, raccontando ai nostri lettori che si entra con quelle condizioni, però è certamente un posto che va raccontato, visto. Soprattutto gli esiti di questa guerra vanno assolutamente raccontati”. 


Prima di scrivere “Lo sguardo oltre il confine”, lei ha scritto altri libri, però rivolti a dei lettori più grandi. Come le è venuto in mente di scrivere un libro rivolto soprattutto ai ragazzi?


“È partito tutto da una domanda che mi ha fatto mio figlio, quando un anno e mezzo fa è arrivata in classe sua, alla scuola materna, una bambina rifugiata ucraina, che era scappata dalla guerra con la famiglia. Pietro mi ha detto “quando arriva la guerra qua?” Non mi ha detto se sarebbe arrivata la guerra, e questo mi ha fatto pensare che forse bisognava cercare di avvicinare i ragazzi non tanto alla storia, perchè io non sono una docente, ma alle storie dei civili che vivono le guerre e che ogni tanto ci perdiamo nella narrazione televisiva; e invece, secondo me, ascoltare le voci dei civili è sempre uno strumento per togliere un po’ di ambiguità alle guerre”.     

  

Questo libro ha permesso a molti dei ragazzi che lo hanno letto, se non a tutti, di avere una visione chiara e approfondita di ciò che accade dall’altra parte del mondo, ma soprattutto di capire che la Storia non è solo quella scritta sui libri, ma anche quella raccontata dalle persone che vivono i fatti sulla propria pelle.

Federica Marchesi 3B

Sofia Presciutti 3H

Sofia Scarpanti 3H

bottom of page