Al termine della premiazione della finale di FameLab abbiamo avuto la possibilità di intervistare i concorrenti sull’esperienza e sui temi che hanno presentato.
Valentina Vavassori
Valentina Vavassori è una ricercatrice presso l’Istituto San Raffaele Telethon di Milano. Si occupa di terapia genica e in particolare studia i metodi per rendere le terapie più tollerabili dall’uomo.È la vincitrice dell’ultima edizione di FameLab.
-Perché hai deciso di partecipare a FameLab?
Innanzitutto perché mi piace raccontare, e poi trovo che la scienza sia estremamente affascinante. È un peccato che alcune persone, solo perché hanno scelto di studiare altre cose, non possano avere accesso a delle conoscenze così affascinanti. Quindi mi pareva interessante poter condividere quello che faccio con chi invece nella vita fa altro.
-Com’è nata l’idea dell’argomento di cui hai parlato?
L’idea è nata perché alla selezione locale avevo parlato della terapia genica, ossia di quello che io faccio tutti i giorni in laboratorio. Mi era piaciuto molto sia l’argomento che lala presentazione, ma mi sono detta che non potevo ripresentare la stessa cosa, perché sarebbe andata sicuramente peggio di sicuro. Quindi ho scelto un altro argomento, l’epigenetica, di cui alcuni miei collaboratori si occupano, e che mi pareva molto carino presentare.
-Il cambiamento del DNA in base ai fattori ambientali è avvenuto anche dopo il disastro di Chernobyl?
Quello che fanno le radiazioni è una cosa diversa. Le radiazioni possono proprio cambiare la sequenza del DNA, provocando conseguenze devastanti, poiché un gene può venire completamente distrutto, creando numerose problematiche all’organismo. Invece l’epigenetica non cambia la sequenza, ma riguarda modifiche chimiche che aprono e chiudono il DNA e accendono e spengono dei geni.
-Pensavi di arrivare in finale e vincere?
Quando mi sono iscritta alla selezione locale, mi sono detta “lo faccio perché mi diverte”; quindi sono partita con uno spirito proprio libero. Poi è andata bene, e ho anche conosciuto un sacco di ragazzi fantastici e interessati alla scienza come me.
-Cosa ti ha lasciato questa esperienza e come pensi che influirà sul tuo futuro?
Questa esperienza mi ha lasciato un sacco di nuove conoscenze interessanti, e un miglioramento personale a livello di comunicazione, perché mi ha spinto al di fuori della mia comfort zone che è quella del mio laboratorio. Adesso sto cercando di conoscere il mondo della comunicazione scientifica proprio come carriera, per poter intrecciare le due cose, e quindi fare questo più spesso.
Elena Barosso
Elena Barosso è una studentessa che frequenta il corso di bioingegneria meccanica all’università di Padova e una grande appassionata di atletica. In futuro spera di poter unire le sue due grandi passioni.
-Perché hai deciso di partecipare a FameLab?
Erano un po’ di anni che lo conoscevo, dal 2018, però non potevo partecipare perché non avevo una laurea triennale, che è un prerequisito da rispettare. Quindi da tre anni andavo a vedere le finali e finalmente quest’anno ho potuto partecipare.
-Com’è nata l’idea dell’argomento di cui hai parlato?
Io sono ossessionata dall’atletica, faccio sei allenamenti a settimana, quindi mi sono detta di dover partire dall’atletica in qualche modo. Poi ho unito il fatto che faccio la tesi sul piede che corre, ossia studio come si sforza il piede finché corre.
-Cosa ti ha lasciato questa esperienza e come pensi che influirà sul tuo futuro?
Sicuramente l’aspetto principale, al di là dei premi, è quello sociale. Si è creato un gruppo bellissimo con ragazzi che vengono da tutta Italia, e che hanno in comune la stessa passione.
-Misurando la deformazione di un piede durante la corsa, hai visto che essa assume lo stesso valore ogni volta che si corre?
Dipende da come si appoggia il piede, solitamente il valore intorno a cui oscilla è medio. Poi dipende da persona a persona, perché ognuno ha un modo diverso di appoggiare il piede: c’è il pronatore, il supinatore, il neutro, a seconda di dove punta il tallone. Però prendendo la stessa persona di solito il punteggio oscilla attorno allo stesso valore medio.
-Hai parlato delle griglie mesh che servono a suddividere qualcosa di infinito in parti finite per avere a che fare con calcoli più semplici, ma in questo modo non si ha un numero infinito di calcoli finiti?
No, perché si suddivide in un numero finito di parti, quindi si ha un numero finito di calcoli alla fine. È come la battaglia navale in cui si ha una griglia, si hanno un numero finito di caselle e per ognuna si vanno a risolvere le equazioni, e poi si fa la media. In verità, la realtà è discreta, si possono contare le particelle, sono milioni e milioni, solo che sono talmente tante che alla fine si dice che sono infinite.
Giovanni Gandolfi
Cosa accomuna uno stormo di uccelli, i neuroni del cervello e il nostro universo? Ce l’ha spiegato Giovanni Gandolfi, dottorando in Astrofisica e Cosmologia a Trieste, che si è classificato terzo grazie alla sua presentazione dei sistemi complessi e al suo stravagante outfit, maglietta e pantaloni sui quali era stampata l’immagine della simulazione Millenium, che rappresenta come dovrebbe essere il nostro universo su larga scala.
-Come hai pensato di iscriverti a Famelab?
Quest’idea è nata un po’ per caso. Ero molto immerso nel lavoro e sentivo che stavo perdendo quella scintilla che mi aveva portato ad intraprendere questa carriera, allora mi sono detto: “Perché non fare un evento di divulgazione come Famelab?". Credo che la divulgazione scientifica sia la trasmissione ad altri di quella scintilla, di quelle emozioni che si provano grazie alla scienza, quindi trovo che sia un ottimo modo di riconnettersi con la sensazione originale che mi ha portato ad amare il mio lavoro. Io ne avevo bisogno e il Famelab è stato indispensabile da questo punto di vista.
-Da dove viene l’ispirazione per l’argomento che hai scelto?
L’ispirazione io l’ho trovata dieci anni fa, durante una lezione della triennale, quando il professore ci fece vedere l’immagine della rete cosmica, la stessa che ho stampato sulla mia maglietta, affiancata a quella di un cervello. Questa cosa mi impressionò, ma non l’avevo mai approfondita fino a qualche mese fa.
-Ti saresti mai aspettato di arrivare in finale o, addirittura, arrivare sul podio?
Assolutamente no, sono arrivato a Famelab senza alcuna pretesa, mettendomi in gioco in un format che non mi appartiene: a me piace avere slides, immagini, grafiche e suoni durante le mie presentazioni, invece mi sono trovato lì con soli tre minuti a disposizione, questo tempo stretto in cui non hai il tempo di spiegare, senza niente ad aiutarti, se non la maglietta nel mio caso, ti mette alla prova e ti capovolge del tutto e non avevo garanzie che sarebbe andata bene. Però è andata bene e sono soddisfatto dell’esito.
Giulia d’Angelo
Con la sua simpatia Giulia d’Angelo, ricercatrice presso l’IIT, Istituto Italiano di Tecnologia, di Genova, è riuscita ad incantare il pubblico, la sua presentazione può essere riassunta con l’espressione, anche stampata nella sua maglietta, “Ma che te guardi?”. Siamo sicuri che sia un caso, semplice probabilità, che qualcuno si accorga che lo stiamo osservando? Lei ci dice che il fenomeno è spiegabile scientificamente!
Come hai pensato di iscriverti a Famelab?
Mi è stato proposto dall’IIT di partecipare, anche perché avevo fatto interviste con Rai Gulp e Rai 3, quindi avevo già esperienza in fatto di comunicazione; allora ho deciso di provare e mi sono detta “Vediamo come va!”
Da dove viene l’ispirazione per l’argomento che hai scelto?
Mi trovavo sul treno ad osservare questa ragazza, di cui ho anche parlato nel mio intervento, e improvvisamente anche lei si è girata e mi ha guardata. Mi sono chiesta come facesse lei a sapere che io la stavo guardando; mi aspettavano ancora sei ore di treno quindi mi sono messa a fare ricerche sull’argomento e mi ha appassionata al punto che ho deciso di portarlo come discorso al Famelab.
Ti saresti mai aspettato di arrivare in finale?
No, non mi aspettavo nulla. Sono una persona che ama far ridere la gente e parlare di ciò che fa, quindi Famelab per me era l’esperienza perfetta; se avete riso almeno un po’ ho vinto!
Quante selezioni ci sono state prima della finale?
Ce ne sono state tre. Le prime due si sono svolte nello stesso giorno, la mattina c’è stata una selezione locale e poi la sera, in un teatro, c’è stata la seconda e da lì io e Filippo, l’altro concorrente genovese, siamo arrivati alla finale qua a Perugia.
Pietro Pellecchia
Dopo la finale abbiamo avuto la possibilità di intervistare il vincitore dell’edizione di quest’anno, Pietro Pellecchia, che ha parlato della spaghettificazione, ovvero del fenomeno che avviene quando un oggetto solido oltrepassa la linea di orizzonte di un buco nero.
-Come hai pensato di iscriverti a FameLab?
Un giorno, mesi prima di quando mi sono iscritto, ho trovato dei video dei finalisti degli anni passati e mi sono subito innamorato. Quindi mi son detto: “La prossima volta che si fa devo partecipare, vale la pena provarci” e me lo sono scritto sul calendario.
-Da dove è nata l’ispirazione per l’argomento di cui hai scelto di parlare?
Ogni volta che preparo questi discorsi, mi immagino come le racconterei ai miei amici dato che molte delle nozioni di fisica che imparo sono così stupefacenti e bizzarre che gliele racconto. Dato che poi alcune hanno molto successo, ho selezionato le migliori, come appunto la spaghettificazione.
-Ti saresti mai aspettato di arrivare in finale quando ti sei iscritto?
No, in realtà l’unica pretesa che avevo quando mi sono iscritto alle selezioni era di divertirmi, e mi sono divertito tantissimo; poi ho anche vinto, il che ti fa divertire anche un po’ di più. Ho anche conosciuto Giuseppe, essendo anche lui alle selezioni di Brescia, e ci siamo divertiti insieme.
-Hai detto che la spaghettificazione avviene sui corpi solidi. Per gli altri funziona allo stesso modo?
Se sulla Terra prendi un bicchiere d’acqua e lo vuoti per terra, il liquido è già spaghettificato, quindi non c’è biosogno di andare in un buco nero. Invece, se per esempio ti butti da un balcone, essendo solido cadi intero, senza allungarti. Su un buco nero invece la gravità è così forte che quella che sentono i tuoi piedi è più forte di quella che sente la tua testa, quindi è come se venissi tirato.
-Per quanto riguarda il centro del buco nero, che ancora non è stato scoperto, pensi potrà mai esserlo?
Secondo me è fattibile, dato che penso che al centro di un buco nero sia la relatività generale sia la meccanica quantistica siano rilevanti, e se qualcuno sviluppasse una teoria capace di mettere insieme entrambe, riusciremmo finalmente a capire il funzionamento di questi fenomeni (i buchi neri, non ho idea di come dirlo senza ripetere le stesse parole). Ci sono eminenti scienziati che lavorano sull’argomento da tanti anni, cercando di sviluppare la teoria detta della “quantum gravity”. Ci sono varie proposte, una delle quali è la “teoria delle stringhe”, che avrete sentito nominare, ma sono tutte incomplete, ci manca ancora molto e abbiamo bisogno di cervelli freschi.
La Redazione ringrazia i partecipanti per la disponibilità e si congratula con tutti per l’interessante serata.
Elisa Pompili 4H
Sofia Piergentili 3H
Lorenzo Perelli 4H
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