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Kabuki



Il Kabuki è una forma classica di danza drammatica giapponese che prese forma nei primi decenni del periodo Edo per mano di Izumo no Okuni. Il primo Kabuki era una troupe interamente femminile che si esibiva in spettacoli e sketch in Kyoto. Successivamente questa forma teatrale subì una radicale trasformazione e nel 1629 le donne vennero bandite dagli spettacoli pubblici e la disciplina divenne interamente maschile. Nel 2005 il Kabuki venne dichiarato dall’UNESCO un patrimonio umano di valore inestimabile.

La parola Kabuki deriva dalle lettere dell’alfabeto kanji “canto”(歌), “danza”(舞) e “abilità”(伎) e può essere interpretata come “l’arte del canto e della danza”.

Questa forma teatrale era inizialmente esclusiva alle donne, che recitavano sia i ruoli femminili che i ruoli maschili, una caratteristica particolare che contribuì alla reputazione malfamata di questa arte, alimentata anche dal coinvolgimento delle attrici nella prostituzione. Infatti gli spettacoli Kabuki erano molto popolari nei distretti a luci rosse della città di Edo (antico nome di Tokyo) e questo comportò il bando di tutte le performance femminili, ritenute troppo erotiche e promiscue in quanto attraevano pubblico da ogni classe sociale. Inoltre l’attività teatrale era largamente controllata dai mercanti della città che in quel periodo stavano accumulando un potere maggiore delle riverite classi samurai e fu per questo stroncata dallo shogunato. Dal 1629 le troupe teatrali rimasero interamente maschili, fino agli anni ’50 del novecento quando alle donne fu nuovamente possibile esibirsi negli spettacoli.

Il Kabuki affrontò un periodo molto difficile in seguito alla fine della seconda guerra mondiale. Nelle varie scuole di pensiero teatrale questo stile fu respinto come la maggior parte delle forme artistiche del Giappone prebellico, ritenute pericolose per il contenuto ideologico di cui potevano essere cariche. Ma grazie ad un talentuoso regista, Tetsuji Takechi, che rielaborò i classici Kabuki, lo stile riprese vigore e tornò di moda nelle isole Giapponesi e oltre. Oggi il Kabuki è la forma teatrale più popolare della cultura nipponica e la più criticamente acclamata mondialmente.


IL PALCO


Il palco è progettato per soddisfare il tema principale del teatro Kabuki, le improvvise rivelazioni e trasformazioni, drammatiche di natura e sostenute da ‘Keren’, ovvero dei trucchi teatrali che si affidano pesantemente alla struttura mutevole e intricata del palco. Qui di seguito sono elencati i principali:

- hanamichi : una passerella che si estende nel pubblico e sulla quale vengono recitate scene particolarmente drammatiche

- mawari-butai : una sezione circolare del palco che viene ruotata grazie a delle ruote, può essere kuraten (le luci vengono abbassate per favorire la transizione) o akaten (le luci rimangono accese per conferire un effetto drammatico alla transizione)

- seri : delle sezioni del palco che si alzano (seridashi) o abbassano (serioroshi)

- chūnori : dei cavi attaccati al costume dell’attore che ne permettono il volo

- hiki dōgu : un palco mobile che permette il cambio rapido di attori e scenario

- kuroko : degli attori vestiti completamente di nero che sono tradizionalmente considerati invisibili e assistono con il cambio degli oggetti di scena e hayagawari

- hayagawari : tecnica che consiste nell’aggiungere dettagli al costume tramite i kuroko

- hikinuki no bukkaeri : tecnica che consiste nell’indossare più strati di costume per cambi rapidi. Il costume visibile viene strappato via dai kuroko rivelando quello sottostante

- sipario : il sipario è tradizionalmente nero, rosso e verde a strisce verticali

- doncho : un ulteriore sipario ornato e abbellito che rappresenta la stagione in cui viene messo in scena lo spettacolo


IL COSTUME


Il kimono indossato dagli attori è composto da molteplici strati e colori accesi, con ricami articolati. Indossano inoltre l’hakama, dei pantaloni pieghettati e striati che spesso venivano imbottiti per ottenere la forma fisica del personaggio.

Di fondamentale importanza è il trucco caratteristico del teatro Kabuki, il kumadori, che fornisce informazioni essenziali riguardo ai personaggi. La polvere di riso è usata per creare la base bianca del trucco (oshiroi) sulla quale viene poi applicato il kumadori, delle linee di colori vivaci che esagerano le espressioni facciali per effetto drammatico o per accentuare tratti animaleschi. Il colore indica inoltre la natura del personaggio: rosso per passione, eroismo, rettitudine e altri tratti positivi; blu o nero per malvagità, gelosia e altri tratti negativi; verde per il soprannaturale e viola per nobiltà.

Per completare l’aspetto tradizionale viene aggiunta la parrucca, katsura. Ogni ruolo richiede una parrucca diversa, composta da una sottile base di rame battuta a mano (habotai) sulla quale vengono cuciti capelli umani o di yak a seconda delle esigenze.


Stile e struttura degli spettacoli

Le principali categorie di Kabuki sono jidaimono (storico), sewamono (domestico) e shosagoto (danzato).

  • Jidaimono, sono pezzi che prendono luogo in eventi importanti della storia giapponese.

  • Sewamono, sono pezzi che trattano le vicende dei paesani e sono generalmente più leggeri e allegri dei jidaimono, solitamente incentrati sulle classi nobiliari.

  • Shosagoto, sono pezzi interamente danzati con poco dialogo che trasmettono emozioni tramite la performance dei ballerini.

Gli spettacoli Kabuki avvengono nel corso di intere giornate, sono divisi solitamente in cinque atti e si attengono al concetto di jo-ha-kyū, una convenzione ritmica che dichiara una particolare scansione temporale: l’azione di uno spettacolo dovrebbe cominciare lentamente, poi accelerare e infine terminare velocemente.

Il primo atto corrisponde a jo, un’apertura lenta che introduce la situazione iniziale e i personaggi. I tre atti successivi corrispondono a ha, gli eventi si velocizzano culminando in un momento di dramma o tragedia nel terzo atto e in una battaglia nel quarto. L’atto finale, corrispondente a kyū, è generalmente breve e fornisce un finale veloce e soddisfacente.

Seguendo questa regola qui concludo, Arigatō, mata ne.


Niccolò Cossu 3°G


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