"Così la neve al sol si disigilla; così al vento ne le foglie levi si perdea la sentenza di Sibilla." Dante Paradiso XXXIII, 63
È proprio scritto così: “accetazione“ con un grosso pennarello nero indelebile su due lati della porta dell’ufficio accettazione dell’ospedale.
I cartelli a stampa riportano poco sopra la giusta ortografia, ma sulla porta, indifferente e beffarda, la scritta riporta “accetazione”: una t. Su entrambi i lati. Non posso fare a meno di notarlo: sono in fila da oltre un quarto d’ora e quell’accetazione mi disturba, entra nel mio campo visivo, si allarga nella testa, diventa un fastidio fisico…. com’è possibile -mi chiedo-che nessuno abbia notato l’errore che nessuno l’abbia corretto tra i tanti medici, laureati, laureandi, tra tanti pazienti che ogni giorno stanno fermi su questo corridoio?
È possibile che in un un ospedale, odierno faro di civiltà e cultura, in un luogo pubblico, si uccida barbaramente a colpi di accetta, anzi acceta, il nostro povero italiano? È accettabile, oppure accetabile, questo? Mi chiedo. E dunque arrivo allo sportello e all’impiegata chiedo un pennarello anziché il referto di mia madre disabile.” Sa, dobbiamo intervenire con urgenza e correggere la scritta sulla porta”-le dico- “manca una ti “ e indico prima l’orrore ortografico e poi, a sostegno delle mie ragioni, il cartello che campeggia in mezzo al corridoio.
Per fortuna lei non se la prende a male: con un sorriso mi ringrazia e accetta, con due t, il mio consiglio ortografico.
Tiro un sospiro di sollievo e mi rimetto in coda in fondo alla fila. Adesso posso pensare a ritirare il referto.
Missione compiuta. Proteggete l’italiano. Sempre.
La Sirillla
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