Da una conferenza di Gustavo Zagrebelsky, un giurista e accademico italiano, giudice costituzionale dal 1995 al 2004 e presidente della Corte costituzionale nel 2004.
Ci sono quattro guerre nel nostro tempo: la prima guerra è quella che classicamente riteniamo tale, quella dei conflitti armati. Nel mondo sono attualmente in corso più di 370 guerre e lo stesso Papa Francesco ha parlato di guerra mondiale diffusa. Praticamente nel mondo ci sono più guerre che Stati e questo è un dato drammatico che non sempre è presente alla coscienza della nostra sonnacchiosa Europa, che pure più o meno indirettamente contribuisce ai conflitti.
C’é poi un altro tipo di guerra: quella del cittadino indigeno, autoctono, contro lo straniero, il migrante. Per Zagrebelsky questo conflitto nel presente si è aggravato: assistiamo a imponenti fenomeni di migrazione di massa dal sud del mondo verso nord, da est verso ovest. Una delle zone calde negli ultimi anni è il Mediterraneo, dove anche negli ultimi giorni abbiamo contato vittime innocenti. Ci sono migrazioni imponenti determinate dai cambiamenti climatici, dalle carestie e dalle guerre stesse. Anche in passato la Storia ha conosciuto migrazioni imponenti, più o meno pacifiche. Oggi però le migrazioni vengono sentite in maniera diversa. Nel mondo antico la migrazione era accompagnata dal fenomeno della colonizzazione: chi lasciava una terra povera e sovrappopolata, per esempio la Grecia, per fondare una colonia in un'altra terra, per esempio l'Italia meridionale, avrebbe trovato uno spazio “vuoto”, vergine, dove non c'era coltivazione, dove non c'era popolazione, dove non c'era cultura, uno spazio “vuoto” che avrebbe accolto i coloni e i coloni avrebbero portato in quello spazio l'agricoltura, lo sviluppo economico, la civiltà. Altre volte un impero, ad esempio quello romano, sistemava i popoli barbari che migravano da oriente entro i confini assegnando loro terre da coltivare (ad esempio le pianure del basso Danubio). Adesso che è l’intero pianeta ad essere sovrappopolato lo spazio vitale è sentito invece “pieno”: la guerra tra l'indigeno e il migrante e lo straniero è ancora più drammatica in quest'età moderna dove tutti gli spazi sono già occupati, dove la competizione economica è così spinta, le risorse scarse, dove non c'è uno spazio che possa accogliere . E’ come se il migrante non avesse pace, meta, non avesse un luogo dove fermarsi: questo è evidente quando pensiamo ai porti chiusi e alle navi di salvataggio che vagano da un porto all'altro senza poter sbarcare poche decine di naufraghi.
La terza guerra è quella contro la Natura: noi viviamo in un’epoca in cui siamo ai ferri corti col nostro ambiente vitale. Sappiamo che i nostri modelli di sviluppo, di vita e di economia non sono sostenibili dalle risorse del pianeta. Il consumo rapidissimo delle risorse non ne permette il rinnovamento e nell’estate di ogni anno arriviamo all’overshoot day, cioè al giorno in cui esauriamo le risorse disponibili nel pianeta per l’intero anno e passiamo a consumare le risorse degli anni successivi. Insomma consumiamo ad un ritmo che non permette al pianeta di rigenerare le risorse stesse. Quest'anno ci siamo arrivati un po' più tardi soltanto perché il lockdown ha rallentato i consumi, l'economia e i trasporti; ma praticamente da agosto abbiamo cominciato a consumare le risorse del futuro, risorse che non sono rinnovabili, che la terra non potrà più rimettere a disposizione dell'umanità . E’ una guerra che non possiamo vincere, è una guerra, in realtà, contro noi stessi.
La quarta guerra del nostro tempo è la guerra della generazione presente contro la generazione futura o forse, se preferite la guerra una popolazione che è sempre più vecchia, quella degli adulti e degli anziani, contro i giovani e quelli che non sono ancora nati. Sapete bene voi studenti quanto le vostre prospettive di affermazione lavorativa, di successo economico siano molto più esigue rispetto alla generazione passata. È come se anche qui tutti i posti fossero già occupati, tutte le risorse già sfruttate, l'economia fosse ormai sfinita e le vecchie generazioni avessero già consumato il vostro futuro. Le giovani generazioni si troveranno a governare un pianeta molto impoverito, molto degradato, e si troveranno anche debiti da pagare, danni da riparare: e questa è una guerra, tra la generazione presente e chi verrà. Certo, più che diritti delle generazioni future, visto che le generazioni future non esistono ancora, dice il giurista, dovremmo piuttosto parlare di responsabilità, di doveri del presente. Responsabilità della generazione presente è quella di non impedire un futuro all'umanità e da questa assunzione di responsabilità forse potremmo prendere le mosse per intraprendere un progetto di costruzione di pace, tra uomini, tra generazioni, tra uomo e natura.
Se volete rimanere aggiornati sui conflitti attualmente attivi nel mondo potete visitare la pagina https://acleddata.com/dashboard/#/dashboard
La Sirilla
Consiglio bibliografico
Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere
antropologo e scrittore , ha scritto un libro apocalittico ma molto interessante in cui spiega, quelle che potrebbero essere le sorti del nostro sovrasfruttamento non sostenibile delle risorse terrestri.
Molti sono le civiltà presentate, ma vi propongo l'esempio degli abitanti dell'isola di Pasqua: gli abitanti dell'isola di Pasqua erano tribù in guerra e gareggiavano per ottenere la supremazia nell'isola proprio erigendo questi enormi monolitici simulacri.
Presi da questa gara di supremazia non si preoccuparono di usare tutte le risorse dell'Isola: la tecnologia a loro disposizione usava soprattutto i tronchi d'albero per fare corde o per fare i rulli su cui far muovere le enormi pietre e quindi tagliarono rapidamente tutti gli alberi dell'isola, alberi che avrebbero impiegato decenni per ricrescere, arrivando a un punto in cui l'isola non ebbe più alberi, come tutt’ora si può notare.
L’assenza di alberi impedì agli uccelli di fermarsi sull'isola e quindi gli abitanti persero una fonte di sostentamento; gli alberi avevano fatto barriera ai venti e alle tempeste oceaniche, che senza freno distrussero capanne e villaggi; scarseggiò ben presto legname per costruzioni, barche da pesca, fuoco. infine gli abitanti immaginarono di dover abbandonare l'isola ma ahimé avevano finito gli alberi e non potevano neanche costruire le navi
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