Cantami, o musa, del pelato ardito
cui cancro sabotò l'penoso viver;
che al navigar securo fu impedito
e si trovò dal benparlare e l'dire
di scienze e d'arti atte al contemplare,
al vivere pel sol guaio di morire.
Che fu sì rinomato in cucinare
da rielargir a li annusanti pani
cagion di arresto per lor claritate.
Lo uom più uomo, lo dicon giornali;
colui che mutò doglie in passione
e l'umil lavoro in molti danari.
Suo socio fu quel balocco minore,
sì grandemente cuffiato e rio
da far del cuoco l'suo anzian pastore,
lo qual fe’ carriera da viandante a dio,
fu conosciuto come Jesse Pinkman,
missosi in affari con Tuco e tio.
"Non savresti i diritti?", dicea a lui Goodman,
lo paladino d'empirica fama,
amico di chi fu incappato in multa.
Era costui come tagliente lama,
leggende le sue blastate e scuse;
luce portò nell'esistenza grama.
Lui si riunì con gli altri, o muse,
quando alla trama servia spintarella,
e il content di meme il mondo soffuse.
E, seppur lui non si vorria in barella,
invece una dama di orrida fama,
credendosi furba, di dolce favella,
ben rifletté di apparire lontana,
e volle inserirsi per minutaggio
scoprendosi inetta e coperta d'infamia.
Questo è tutto, questo il retaggio,
studiato e amato da ogn'anima viva,
inizio e premessa di epico viaggio.
D'ora in avanti la trama è in salita.
Tommaso Tosti 3°I
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