Il termine femminicidio è molto spesso pronunciato impropriamente, forse perchè nella cultura popolare si pensa che sia l’analogo di “omicidio” ma declinato al femminile, ovvero il delitto di una donna. In realtà questa parola, di cui purtroppo si sente fare uso molto spesso, ha un significato più ampio.
È stata utilizzata per la prima volta nel 2004 da Marcela Lagarde, antropologa messicana, per spiegare il fenomeno che descrive l'intero atto di un intero ciclo di violenza. Si tratta, riprendendo le parole della Lagarde, della “forma estrema della violenza di genere contro le donne, prodotto dalla violazione dei loro diritti umani [...] attraverso varie condotte misogine [...], ponendo la donna in una condizione indifesa e di rischio, possono culminare in [...] forme di morte violenta di donne e bambine [...] evitabili, dovute all'insicurezza, al disinteresse delle istituzioni e all'esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia”.
In parole povere, quando si parla di femminicidio non si sta trattando la sola uccisione della vittima che casualmente è donna, ma si sta parlando di un fenomeno radicato nella società che inizia da comportamenti misogini come discriminazioni nel mondo del lavoro, della comunità o della famiglia, per proseguire con violenza fisica, sessuale o psicologica; questi atteggiamenti danno la percezione che l’uomo abbia il potere e il diritto di controllare la donna e, da qui, di violarla ed ucciderla.
In un articolo del 2015, Milena Anzani, specializzata in Istituzioni e politiche dei diritti umani e della pace, scrive “il femminicidio individua una responsabilità sociale nel persistere, ancora oggi, di un modello socio-culturale patriarcale”.
Per comprendere a pieno questa frase andiamo ad analizzare il termine patriarcato secondo la definizione data da Treccani:
“In antropologia, tipo di sistema sociale in cui vige il 'diritto paterno', ossia il controllo esclusivo dell'autorità domestica, pubblica e politica da parte dei maschi più anziani del gruppo.”
Dunque quando si parla di femminicidio, non si può non tenere conto della società in cui tale reato avviene e che inevitabilmente contribuisce alla diffusione degli ideali da cui il fenomeno scaturisce.
Quando si parla di femminicidio non si può fare riferimento ad esso se non come fenomeno sistematico causato da una società patriarcale.
Ma se, come alcuni sostengono, il patriarcato non esiste più e l’Italia è un Paese libero da qualunque tipo di discriminazione, soprattutto di genere, perchè ancora oggi i femminicidi sussistono? Perché oggi, 21 novembre, in tutte le scuole della Nazione è stato osservato un minuto di silenzio in memoria di Giulia Cecchettin e di tutte le donne vittime di femminicidio?
Il Ministero dell’Interno ha condiviso i dati che testimoniano come, dal primo gennaio al diciannove novembre di quest'anno, le donne uccise siano state 106; di queste, 87 sono state assassinate in ambito familiare e affettivo e 55 di esse hanno trovato la morte per mano di un partner o un ex partner.
Nonostante questi dati, che evidenziano come il problema stia dilagando sempre di più, parte dell’opinione pubblica è ancora ostile alla tesi che il femminicidio riguardi tutta la società. Il campo per questa diatriba sono i social, ormai diventati il principale strumento per esprimere la propria opinione. Dai commenti su Instagram sotto i post di pagine di divulgazione o di giornali, ai tweet su X, si può riscontrare come per molti parlare di femminicidio come fenomeno sistematico sia un’inutile esagerazione.
Del resto si tratta soltanto di 106 casi isolati…
Elisa Pompili 5H
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